«Cambiare l’intero sistema finanziario per rendere il sistema finanziario al servizio di tutti, in particolare dei disoccupati, dei beneficiari dell’assistenza sociale, delle minoranze, delle donne e dei giovani. In sostanza, renderlo inclusivo». È il pensiero dell’economista bengalese Muhammad Yunus, che aggiunge: «Quello che dobbiamo fare è riparare il sistema».
Yunus è ideatore e realizzatore della Grameen Bank dedicata al microcredito moderno, il sistema di piccoli prestiti destinati a persone troppo povere per ottenere credito dai circuiti tradizionali, che nel 2006 gli è valso il Nobel per la pace. Nel 1983, dopo aver meditato sulla povertà del Paese, ebbe il merito di fondare in Bangladesh la Grameen Bank, anche detta «banca dei poveri». Prima, però, vagò a lungo nelle strade per analizzare l’economia di un villaggio rurale nel suo svolgersi quotidiano. Dal suo studio approfondito ebbe modo di comprendere che la povertà non era affatto dovuta all’ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziarie del suo Paese. L’economista sarà a Milano dal primo luglio, in occasione del Forum Mondiale delle Imprese sociali.
Professor Yunus, lei è per tutti «il banchiere dei poveri». Dopo decenni di attività è tempo di bilanci.
«Il microcredito ha percorso una lunga strada. Si è dimostrato che i servizi finanziari possono essere forniti ai più poveri in modo efficiente e sostenibile, senza garanzia. Funziona in tutte le situazioni economiche, geografiche e politiche. E si è visto come i poveri possono possedere una loro banca con successo».
Quale è il volume oggi del microcredito?
«Già più di 170 milioni di donne hanno ricevuto un prestito. L’anno scorso la banca ha dato 1,5 miliardi di dollari sotto forma di prestiti e le persone povere hanno accumulato 1,5 miliardi sui propri conti risparmio. Il Bangladesh ha raggiunto l’obiettivo del Millennio di ridurre la povertà della metà entro il 2013, molto prima del termine, il dicembre 2015».
Iniziativa tutta privata o anche frutto di una sinergia con il pubblico?
«Se vengono prese iniziative giuridiche adeguate per consentire la creazione di banche dei poveri lo svantaggio economico può essere azzerato».
Ora però la sua Grameen Bank è passata in gestione allo Stato del Bangladesh.
«La Grameen Bank è di proprietà prevalente (75%) delle persone che prendono i prestiti. La sua struttura di gestione non consente al governo di controllare la banca. È un peccato che la politica abbia sostenuto che dovesse diventare una banca del governo, imponendo la propria volontà. Questa decisione minaccia il futuro della Grameen».
Un’idea di banca ripresa in tutto il mondo non esente da critiche, su tutte l’aggressività nel creare mercato a scapito di chi sottoscrive prestiti.
«È un terribile allontanamento dalla visione originale del microcredito. L’ho creato per fare banca sociale in modo sostenibile, all’opposto di una banca commerciale che fa guadagnare denaro ai benestanti».
Siamo prossimi alla scadenza degli obiettivi del Millennio, e le disuguaglianze tra ricchi e poveri crescono.
«La struttura capitalistica dell’economia è progettata per continuare ad allargare la forbice. É necessario allontanarsi da un’idea di impresa convenzionale che mira al solo profitto personale; bisogna dare il via a un business sociale che non preveda dividendi per risolvere i problemi umanitari, preparare i giovani a divenire buoni imprenditori e avviare un processo di cambiamento che porti il sistema finanziario al servizio di tutti».
Milano è l’occasione per un cambiamento reale?
«Con gli organizzatori stiamo lavorando insieme per un “mondo a tre zeri”: zero povertà, zero disoccupazione e zero emissioni di carbonio. Si può fare se ci muoviamo fuori dell’attuale pensiero economico».
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