Cinema e multiplex hanno sicuramente conosciuto tempi migliori: il boom dello streaming on demand prima e la pandemia globale dopo hanno sferrato all’intero settore dedicato all’intrattenimento sul maxi schermo un duro colpo. Provocando, tra gli altri, un cambio epocale nel modello hollywoodiano: invece di affidarsi esclusivamente a terze parti, come ad esempio operatori via cavo, catene multiplex e altri distributori, per portare al pubblico i loro contenuti, gli Studios hanno via via preferito venderli direttamente ai consumatori. Con un conseguente crollo del sistema che interessa i luoghi fisici consacrati alla settima arte (e dintorni). E oggi, che le restrizioni messe in atto dai Paesi colpiti dal Covid-19 allontanano gli spettatori da cinema e teatri, la situazione si fa sempre più delicata. Anche per tutti quegli imprenditori immobiliari che, forti delle loro risorse miliardarie e della loro esperienza di successo negli affari, hanno messo le mani sull’universo forse più popolare dell’intrattenimento, fiutando l’opportunità di nuovi investimenti.
Andando in ordine cronologico, infatti, gli esempi più eclatanti che vedono i magnati del real estate accaparrarsi teatri e società di produzione e distribuzione cinematografica ci portano prima in Cina e poi negli Stati Uniti. Era infatti il 2012 quando Wang Jianlin, il presidente della Dalian Wanda Group, la più grande impresa immobiliare della Cina, ha acquistato per 2,6 miliardi di dollari l’AMC Entertainment Holdings, il gestore di sale cinema più importante al mondo che, nel luglio 2016 ha assorbito per 500 milioni di sterline anche la catena europea Odeon & Uci Cinemas Group nonché la Carmike Cinemas fondata da Carl Patrick, Sr nel 1982. Ma non solo: l’imprenditore che appare nella lista dei venti uomini più ricchi del pianeta, è proprietario di Wanda Film Holding, la principale catena cinematografica cinese che, a gennaio 2018, contava 525 cinema, con 4.648 schermi sparsi anche oltreconfine. Numeri che forse, a causa della pandemia, saranno destinati a decrescere: secondo il Bloomberg Billionaires Index, la fortuna di Wang è crollata di circa un quinto del suo valore stimato, portando le azioni di Wanda Film a -17% nel 2020, mentre quelle di AMC sono diminuite di circa due terzi.
Sorte simile potrebbe spettare al miliardario newyorchese Charles S. Cohen che nel dicembre 2018 ha acquistato la Landmark Theatres, la più grande catena di cinema americana dedicata ai film d’essai e alle pellicole indipendenti. L’imprenditore immobiliare, uomo da 3,5 miliardi di dollari secondo Forbes, ha quadruplicato l’impero immobiliare di famiglia superando, con le diverse proprietà, un milione di metri quadrati di superficie, tra uffici e locali di lusso nel cuore di Manhattan. “Non abbiamo mai perso un edificio, mai”, ha dichiarato l’imprenditore; ma, anche se solido (la maggior parte degli edifici di Cohen sono stati acquistati decenni fa e il loro valore è aumentato vertiginosamente), il suo impero sembra tuttavia traballare a ritmo delle oscillazioni del Coronavirus. E sul fronte cinema, sebbene le sale a cui fa capo la Landmark Theatres stiano riaprendo a macchia di leopardo in tutto il Paese, New York compresa, i buchi lasciati dalla pandemia e dai mesi di lockdown segnano inevitabilmente il futuro dell’affaire. L’estate scorsa, è stata annunciata la probabile messa in vendita dell’Esquire Theatre di Denver per mancato pagamento dell’affitto. Ma Cohen, che tra le altre cose ha recentemente acquisito la Curzon Cinemas, la catena inglese specializzata nella proiezione di film d’autore, si dice positivo.
“Posso mettere in pratica ciò che ho imparato nel settore immobiliare in modo che queste società consacrate all’intrattenimento possano fare i migliori affari e operare nel modo più redditizio possibile a lungo termine”, ha dichiarato Charles S. Cohen in un’intervista a Deadline. E a chi mette in discussione l’importanza dei luoghi fisici come cinema e teatri risponde: “Le persone hanno bisogno di posti dove andare per fare esperienze con altre persone. Sento che l’esperienza cinematografica, l’esperienza condivisa di sedere con un pubblico è il modo in cui i registi vogliono che i loro film siano visti: su un grande schermo, in una stanza buia, con il miglior suono e nel miglior posto possibile, e lasciare che le persone dimentichino tutti i problemi che le circondano. Abbiamo bisogno di questi luoghi per decomprimerci”. Come biasimarlo?
Tuttavia il destino di quelli che un tempo venivano chiamati cinematografi non sempre riserva negli anni il mantenimento pedissequo della sala da proiezione originale: cultori, appassionati o semplici habitué temono che, con l’acquisto da parte dei grandi immobiliari e la crisi del settore, gli spazi consacrati alla settima arte diventino magazzini, uffici o, peggio, centri commerciali. Quando lo scorso maggio Netflix ha comprato all’American Cinematheque l’Egyptian Theatre, la gemma di Hollywood Boulevard che inaugurò nell’ottobre 1922 in occasione della prima di Robin Hood, si sono sollevati numerosi dissensi da parte di chi ha temuto di vedersi soffiare via sotto il naso una delle sale da cinema più famose al mondo. Ma sebbene il colosso dello streaming, che mesi prima aveva riaperto il Paris Theatre di New York, non abbia annunciato nulla in merito alle possibili trasformazioni future, rassicurano le parole dell’urbanista dell’Office of Historic Resources di Los Angeles Ken Bernstein che ha ricordato l’elenco di regole che vigono sulla modifica del teatro, perché ritenuto un luogo cruciale della collettività e del patrimonio storico della città. Al pari di piazze, monumenti ed edifici pubblici, i cinema, così come i teatri, scandiscono infatti il tessuto urbano come intoccabili punti di riferimento (e di orientamento) per i cittadini: ma con gli immobiliaristi all’assalto, la compravendita bulimica, affogata dalla crisi e dai debiti accumulati degli affittuari, rischia di diventare per questi luoghi il lasciapassare alla riconversione. Quentin Tarantino acquistava nel dicembre 2007 il New Beverly Cinema di Los Angeles proprio per salvare la proprietà dalla riqualificazione: “Finché sarò vivo, e finché sarò ricco, il New Beverly sarà lì, mostrando il doppio spettacolo da 35mm (termine con cui si indicano le pellicole standard)”.
Oggi le conseguenze della pandemia sembrano minare proprio a questi luoghi per la collettività che fanno dell’esperienza condivisa il cuore della loro attività: senza considerare come distanziamento e restrizioni anti-contagio stiano modificando (forse per sempre) le dinamiche della socialità, è sufficiente guardare ai numeri che interessano il settore del grande schermo. In Italia, ad esempio, gli incassi per l’industria cinematografica nel 2019 erano arrivati oltre i 635,5 milioni di euro, come riportato da Anica, quest’anno nel periodo da gennaio a maggio gli introiti sono stati di 148,7 milioni di euro, di fatto messi a segno fino agli inizi di marzo. Grandi prime annullate, blockbuster congelati e compromessi con le piattaforme digital on demand segnano forse l’inizio di un cambiamento epocale: cosa ci spingerà ad abbandonare il divano di casa per tornare sulla poltrona rossa di velluto in prima fila? Hollywood corre ai ripari: cachet da capogiro, cast stellari e scenografie mozzafiato faranno la differenza (anche tra piccoli e grandi budget). E per i più pessimisti Bilge Ebiri ricorda su Vulture la pandemia del 1918 che sconvolse, tra tutti, anche il settore cinematografico. Ma da quelle drammatiche macerie, non è forse nata l’epoca d’oro di Hollywood? Araba fenice del mondo post-pandemico, il cinema se muore è perché può rinascere?
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