Il primo governo guidato da Giuseppe Conte a quattro mesi dal crollo del ponte Morandi ha concesso alla famiglia Benetton un clamoroso affare immobiliare. Gli ha venduto un pezzo di Roma attraverso un fondo pubblico controllato dal ministero dell’Economia rinunciando alla prelazione dei Beni culturali.
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La tragedia di Genova è del 14 agosto 2018. L’11 dicembre dello stesso anno, mentre Palazzo Chigi promette di togliere le concessioni ad Aspi, la società Edizione Property, sempre dei Benetton, acquista in via preliminare un super immobile nel centro storico di Roma per 150 milioni. Si tratta dell’enorme edificio (22 mila metri quadrati) che si trova tra piazza Augusto Imperatore, via della Frezza, via di Ripetta, via del Corea e via Soderini: il palazzo è stato costruito tra il 1936 e il 1938 su progetto dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e si affaccia sull’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto. Secondo le valutazioni delle principali agenzie immobiliari di Roma a giugno 2020 quel palazzo avrebbe un prezzo oscillante fra 187 e 210 milioni di euro, ma all’epoca della transazione i valori erano più alti.
L’acquisto effettivo è avvenuto il 20 febbraio 2019 dopo la constatazione del «mancato esercizio della prelazione da parte del ministero dei Beni culturali» (guidato all’epoca da Alberto Bonisoli). Diciamo subito che l’allora ministro in quota 5 Stelle non è stato l’unico a non occuparsi della vicenda, visto che a dicembre 2019 la stessa Edizione Property spa ha comprato un altro immobile (sempre nella stessa piazza) per 120 milioni e anche allora il ministero dei Beni culturali (stavolta guidato dall’esponente dei dem Dario Franceschini) non ha ritenuto di esercitare il diritto di prelazione.
Torniamo alla compravendita dell’immobile principale, che un tempo era di proprietà dell’Inps e poi, nel 2005, è finito nel Fondo Immobili Pubblici. Non è mai stato venduto, fino alla fine del 2018. Il 20 luglio di quell’anno, infatti, la società dei Benetton presenta una proposta per acquistare l’edificio. L’offerta è 150 milioni. L’11 dicembre la vicenda si avvia a conclusione con la firma del preliminare di vendita e pochi mesi dopo l’operazione è conclusa.
Ma la storia è soltanto a metà perché il 24 luglio del 2019 Edizione Property spa decide di dare in affitto il palazzo a Bulgari. Il canone è di 15 milioni all’anno per dieci anni (rinnovabile per altri dieci): dunque, in tutto, 150 milioni. Un’operazione con i fiocchi. Un investimento immobiliare ripagato in un decennio.
Nell’edificio che una volta era di proprietà dello Stato Bulgari costruirà un albergo di lusso che aprirà nel 2022. «Il nuovo Bulgari Hotel Roma occuperà uno splendido palazzo modernista degli anni ’30, affacciato su due dei tesori più emblematici della città: l’Ara Pacis e il Mausoleo di Augusto, il primo imperatore romano» si legge sul sito della maison di gioielli. Ci saranno oltre 100 camere, in maggioranza suite, un bar di lusso e un ristorante stellato. «Il sapiente connubio di materiali quali il travertino color ocra e i mattoncini in terracotta celebrerà l’estetica dell’Antica Roma augustea, mentre magnifiche collezioni d’arte antica e contemporanea a rotazione impreziosiranno la struttura, evocando il ricco e sfaccettato patrimonio della città eterna, una delle città più belle al mondo, da sempre simbolo di arte e cultura».
Il contratto di locazione ad uso alberghiero stipulato tra Edizione Property spa e Bulgari Roma srl è particolare: prevede un «canone minimo garantito» annuale pari, appunto, a 15 milioni più Iva «nel caso in cui il totale dei ricavi realizzato nei dodici mesi di competenza abbia ecceduto l’importo di euro 55 milioni» o un canone di 13.800.000 nel caso i guadagni siano uguali o inferiori a 55 milioni. Il contratto stabilisce, tuttavia, che per i primi trentasei mesi l’affitto sarà pari al 20% dei ricavi, poi del 23% e per l’anno successivo del 25% «anche in considerazione della necessità per la conduttrice di sviluppare il proprio avviamento e dell’impegno dalla stessa assunto di farsi carico dei lavori della conduttrice».
E qui c’è un’altra questione rilevante. Come fa un palazzone di quel genere, nel centro di Roma, pieno di vincoli, a ottenere il cambio di destinazione d’uso per diventare un hotel? Sembrerà un’impresa titanica ad ogni albergatore o aspirante tale. Non in questo caso perché l’immobile è stato venduto già con le autorizzazioni necessarie. Un affare, non c’è che dire, soprattutto se si trova in fretta qualcuno che lo affitta a un prezzo che in pochi anni ripaga l’investimento. La domanda per chiedere il permesso di costruire (protocollo QI/2016/197154) per «la trasformazione in struttura turistica» è stata presentata il 14 novembre 2016. Il Campidoglio ha dato il via libera dopo pochi mesi: il permesso n. 193 è del 31/07/2017, previa autorizzazione della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione per cambio di destinazione d’uso. Le opere hanno avuto inizio il 28 febbraio 2018 a seguito della comunicazione di inizio lavori, trasmessa via Pec dal direttore del progetto lo stesso giorno.
Un’operazione legittima, ci mancherebbe. Resta sullo sfondo un interrogativo. Ma se già nel luglio del 2017 lo Stato possedeva un palazzo straordinario nel cuore di Roma con tanto di permessi per trasformarlo in albergo, perché il Fondo che doveva gestirlo non lo ha messo a reddito dandolo in affitto e mantenendone la proprietà invece che venderlo alla società del gruppo Benetton facendogli, di fatto, un regalo senza pari? Una questione che suona ancora più inquietante dopo i proclami dei due governi guidati da Conte nei confronti dell’Aspi.
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