Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l’ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva confermato il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP, respingendo l’istanza della moglie dell’indagato, cointestataria del c/c oggetto del sequestro, di restituzione del denaro ivi depositato, somme in parte costituite da rimesse di ratei pensionistici della donna, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza 16 gennaio 2024, n. 1877 – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui erroneamente era stata disattesa la richiesta di dissequestro anche delle somme costituenti emolumenti pensionistici depositate sul conto corrente bancario, somme che, ai sensi dell’art. 545 c.p.c. non sono soggette a pignoramento – ha riaffermato il principio secondo cui, se è ben vero che, sulla base di un tradizionale orientamento, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter c.p. della somma di denaro depositata su un conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, la misura preventiva reale si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal codice civile per regolare i rapporti interni tra creditori e debitori solidali o i rapporti tra banca e depositante, ferma restando la possibilità nel prosieguo di procedere ad un effettivo accertamento dei beni di esclusiva proprietà di terzi estranei al reato, è altrettanto vero che tale affermazione deve, necessariamente e convenientemente, coniugarsi con la normativa, dettata in materia di processo esecutivo civile ma ritenuta rilevante ed applicabile anche in sede penale, la quale pone dei limiti alla ablazione forzosa dei trattamenti pensionistici.
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