ReCommon reputa inadeguate le nuove regole introdotte di recente da Intesa Sanpaolo per l’operatività nel settore oil&gas. La banca di Corso Inghilterra, primo gruppo bancario italiano in termini di capitalizzazione di mercato e quotato tra le 50 maggiori banche del mondo, ha rivisto la propria politica nel settore delle risorse petrolio e gas non convenzionali – il cui ultimo aggiornamento risaliva addirittura al 2021 – e introdotto dei primi impegni nel settore petrolio e gas convenzionale.
Cosa prevedono le nuove policy di Intesa Sanpaolo per il settore oil&gas
In particolare, la banca finalmente estende l’operatività delle nuove regole a tutti i segmenti del settore oil&gas. Prevedendo copertura – anche se parziale – tanto per i finanziamenti quanto per gli investimenti, quest’ultimo vero core business di Intesa Sanpaolo. Rispetto alla policy precedente, i nuovi impegni inoltre anticipano la data di phase out dalle risorse non convenzionali dal 2030 al 2025.
«Sono sicuramente dei segnali importanti ma si poteva fare molto di più», commenta Daniela Finamore, Campaigner Finanza e Clima di ReCommon. «Da una analisi dettagliata dei nuovi impegni, infatti, emerge una serie di lacune che permettono alla prima banca italiana di continuare a tenere il rubinetto aperto con le maggiori società dell’industria fossile».
Qui terminano le “buone notizie”, perché va subito sottolineato che Intesa Sanpaolo non ha aggiornato le regole relative al comparto del carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili, che la banca nel solo 2023 ha foraggiato con 3,36 miliardi di dollari di finanziamenti. È rimasta quindi inascoltata la richiesta, portata avanti da Recommon e sollecitata anche da un gruppo di investitori in occasione dell’ultima assemblea degli azionisti, di fissare una data di abbandono completo per l’intero comparto carbonifero.
Luci e ombre negli impegni sul clima della prima banca italiana
Nel comparto oil&gas considerato “classico” dal gruppo bancario, le regole aggiornate introducono nuovi impegni di esclusione per progetti oil&gas a forte impatto in aree quali l’Artico o il Bacino amazzonico, definite “zone critiche”. Al di fuori di queste, gli “stop” della banca riguardano solo progetti di sviluppo di nuovi giacimenti petroliferi. Resta fuori quindi il comparto del gas, di grande interesse per Intesa Sanpaolo, e non vi è alcuna esclusione per il finanziamento alle società fossili, in modo particolare quelle con piani di espansione. Inoltre, dalla terminologia utilizzata nella policy sembra che le regole del settore oil&gas convenzionale si applichino solo ai finanziamenti, diversamente da quanto meglio esplicitato in merito alle risorse non convenzionali.
In quest’ultimo segmento, è positivo che la banca introduca delle esclusioni a livello di società – quelle che derivano più del 15% dei ricavi da produzione di risorse non convenzionali. Questi passi in avanti, tuttavia, sono sono compensati da importanti lacune. Come la mancata menzione del segmento di business “corporate and investment banking”, il riferimento ai progetti unicamente upstream (esplorazione e produzione) e la mancata inclusione dell’estrazione in acque ultra-profonde (ultra deep water) tra le risorse non convenzionali.
«Il mancato inserimento delle tecniche ultra-deep water permetterebbe a Intesa Sanpaolo di finanziare i nuovi progetti di Eni in Mozambico Coral North FLNG e Rovuma LNG, su cui abbiamo spesso cercato un’interlocuzione con la banca, senza però avere alcun riscontro», commenta Finamore. «Nella policy aggiornata, tuttavia, è prevista l’esclusione per aziende e progetti ubicate in aree di conflitto armato attivo. L’auspicio è che Intesa Sanpaolo tenga quindi in considerazione il sanguinoso conflitto che dal 2017 dilania il nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, alimentato anche dalla presenza dell’industria estrattiva in cui l’istituto di credito continua a vedere enormi potenzialità di profitto».
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