[1] Nel 2023 le tensioni internazionali si sono acuite: il protrarsi del conflitto in Ucraina, lo scoppio di una nuova crisi in Medio Oriente e la crescente contrapposizione tra Stati Uniti e Cina condizionano tuttora le politiche economiche e commerciali, aumentano i rischi finanziari per le imprese e inducono una riconfigurazione degli scambi commerciali verso partner considerati più sicuri. Tali fattori concorrono a determinare un arretramento nel grado di integrazione economica fra regioni del mondo.
A fronte di queste tensioni, lo scorso anno l’economia globale è cresciuta del 3,2 per cento, poco meno del 2022. La dinamica del prodotto è stata eterogenea tra regioni: al dinamismo dell’attività negli Stati Uniti e a una generale resilienza nelle economie emergenti si sono contrapposti il forte rallentamento nell’area dell’euro e una ripresa della Cina inferiore alle attese, condizionata dalla fragilità del settore immobiliare.
Le banche centrali nelle maggiori economie avanzate hanno inasprito ulteriormente l’orientamento delle politiche monetarie, così da contrastare le pressioni sui prezzi ancora in larga parte derivanti dalle strozzature nelle catene di produzione globali e dal rincaro dell’energia del precedente biennio. L’inflazione è scesa rapidamente dai picchi raggiunti nel 2022 riportandosi, già alla fine dell’anno scorso, su livelli più vicini agli obiettivi delle banche centrali, con un deciso rallentamento anche delle componenti di fondo.
I più alti tassi di interesse hanno accresciuto il rischio di default per i paesi a basso reddito con debiti rilevanti verso l’estero. Secondo le principali istituzioni finanziarie internazionali, oltre la metà di queste economie si trova in condizioni di elevata vulnerabilità finanziaria.
Le divisioni che hanno caratterizzato le relazioni tra blocchi di paesi hanno ostacolato la realizzazione di azioni concrete per il raggiungimento di alcuni obiettivi condivisi dalla comunità internazionale, come la risoluzione delle crisi debitorie di alcuni paesi africani e il contrasto e l’adattamento al cambiamento climatico. È tuttavia continuato il dialogo sul tema della finanza sostenibile e sulla diffusione di dati utili a orientarla. All’interno del G20 sono proseguiti gli sforzi volti a rafforzare il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali. Nell’ambito del G7, oltre alle misure varate per fornire supporto all’economia dell’Ucraina e per sanzionare la Russia, sono stati conseguiti progressi sulla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e alimentari. È inoltre continuato l’impegno per sostenere la cooperazione sul contrasto al cambiamento climatico e sul rafforzamento della resilienza ai rischi informatici nel settore finanziario; è stato confermato il supporto ai lavori promossi dal G20 per rendere più efficienti i pagamenti internazionali.
[2] Nel 2023 il prodotto interno lordo dell’area dell’euro ha fortemente rallentato, dopo due anni di crescita sostenuta. Gli investimenti hanno risentito della politica monetaria restrittiva; i consumi delle famiglie, seppure in un contesto di disinflazione, sono stati frenati dal livello elevato dei prezzi di molte voci di spesa. Le tensioni sui mercati globali hanno rallentato gli scambi commerciali. La dinamica del prodotto è rimasta moderata anche nei primi mesi del 2024.
In un quadro di alta inflazione, i rialzi dei tassi di interesse ufficiali e l’attesa che essi sarebbero rimasti ancora a lungo su livelli elevati hanno concorso a mantenere tese le condizioni finanziarie fino allo scorso ottobre. Nella parte finale dell’anno la veloce discesa dell’inflazione, grazie al calo dei prezzi dei prodotti energetici e alla minore spinta di quella di fondo, ha generato aspettative di una più prossima e rapida attenuazione della restrizione monetaria da parte delle principali banche centrali. Ciò ha favorito un deciso miglioramento delle condizioni finanziarie, con un aumento dei corsi azionari e una riduzione sia dei rendimenti dei titoli di Stato e delle obbligazioni private, sia dei rispettivi premi per il rischio. Nel corso dell’anno sono inoltre proseguite le emissioni di obbligazioni verdi da parte di enti privati e di istituzioni pubbliche.
Secondo gli analisti e le previsioni più recenti degli organismi internazionali, la disinflazione proseguirà quest’anno e nel prossimo, riportando la crescita dei prezzi in linea con l’obiettivo di inflazione della Banca centrale europea.
Nel 2023 il disavanzo delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al prodotto nella media dell’area dell’euro è diminuito per il terzo anno consecutivo, collocandosi al 3,6 per cento; secondo le ultime previsioni della Commissione europea scenderebbe quest’anno al 3. Il peso del debito pubblico, in media al 90 per cento del prodotto, si stabilizzerebbe nell’anno in corso.
Tutti gli Stati membri della UE hanno rivisto i propri piani nazionali di ripresa e resilienza, nella maggior parte dei casi anche per incorporare interventi legati al nuovo strumento REPowerEU. In seguito a queste revisioni, l’ammontare di fondi erogabili mediante il Dispositivo per la ripresa e la resilienza risulta ora di quasi 650 miliardi. Finora ne sono stati versati circa 233 (oltre 82 nel 2023), di cui 148 sotto forma di sovvenzioni. Per finanziare queste erogazioni, la Commissione europea ha fatto ricorso a emissioni di eurobond.
Lo scorso aprile il Parlamento europeo e il Consiglio della UE hanno approvato le nuove regole di bilancio europee.
[3] Nel 2023 è proseguito con vigore il processo di restrizione monetaria per assicurare il rapido ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2 per cento.
Nel corso dell’anno il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha aumentato i tassi ufficiali complessivamente di 200 punti base, portando quello sui depositi presso la banca centrale al 4,0 per cento. Nella riunione di settembre, in coincidenza con l’ultimo rialzo, il Consiglio aveva valutato che il livello raggiunto dai tassi di riferimento, se mantenuto per un periodo sufficientemente lungo, avrebbe fornito un contributo sostanziale al ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo. Lo scorso aprile, in un contesto di rapido calo dell’inflazione, il Consiglio ha prospettato una riduzione della restrizione monetaria laddove i nuovi dati avessero accresciuto la fiducia su una stabile convergenza dell’inflazione all’obiettivo.
È proseguito il ridimensionamento del bilancio dell’Eurosistema. Vi hanno contribuito i rimborsi dei finanziamenti erogati con la terza serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Targeted Longer-Term Refinancing Operations, TLTRO3) e, in misura minore, la fine del reinvestimento del capitale rimborsato sui titoli in scadenza nell’ambito del programma di acquisto di attività finanziarie (Asset Purchase Programme, APP).
La trasmissione degli impulsi monetari al credito bancario nell’area dell’euro è stata particolarmente forte: il costo del credito è salito marcatamente e la dinamica creditizia si è rapidamente indebolita.
A marzo del 2024 il Consiglio direttivo ha concluso il riesame dell’assetto operativo per l’attuazione della politica monetaria; ha stabilito, tra l’altro, che l’orientamento della politica monetaria continuerà a essere indirizzato mediante il tasso di interesse sui depositi presso la banca centrale.
[4] Lo scorso anno il PIL dell’Italia è cresciuto dello 0,9 per cento a prezzi costanti. L’espansione ha interessato tutte le aree del Paese. Sulla netta decelerazione rispetto al 2022, quando il prodotto era aumentato del 4,0 per cento, hanno inciso l’esaurirsi del recupero delle attività più colpite dalla pandemia, la debolezza della domanda mondiale e le condizioni monetarie più restrittive.
Il rallentamento del commercio internazionale ha particolarmente influenzato la dinamica dell’industria in senso stretto; il calo è stato maggiore nelle produzioni a più alta intensità energetica. Si è attenuata la ripresa nei servizi, per la minore spinta proveniente dal comparto turistico-ricreativo e per la riduzione della domanda legata alla flessione dell’attività industriale. Il valore aggiunto ha continuato invece a espandersi nei servizi immobiliari e di consulenza tecnico-professionale, oltre che nel comparto delle costruzioni: questi settori hanno maggiormente beneficiato delle misure di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e degli incentivi per la riqualificazione e il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici.
Il deciso rallentamento dei prezzi energetici ha guidato il processo di disinflazione, in corso sin dall’inizio dell’anno e intensificatosi in autunno, quando l’inflazione è tornata al di sotto del 2,0 per cento.
Nel primo trimestre di quest’anno il PIL ha continuato a crescere su base congiunturale (0,3 per cento, secondo la stima preliminare), sospinto dalla domanda estera netta e dall’espansione dell’attività in tutti i principali settori. L’inflazione si è mantenuta su valori bassi, scendendo allo 0,9 per cento in aprile; la componente di fondo si è stabilizzata al 2,2. Secondo nostre valutazioni, nel complesso dell’anno l’inflazione risulterebbe poco superiore all’1,0 per cento.
[5] Nel 2023 il reddito disponibile delle famiglie ha continuato a espandersi, sostenuto dall’aumento dell’occupazione; il suo potere d’acquisto è tuttavia lievemente sceso a causa dell’inflazione ancora elevata. La crescita dei consumi è proseguita, in misura inferiore rispetto al 2022. L’incremento della spesa è stato marcato per i servizi, che beneficiano ancora del recupero delle attività a maggiore contatto sociale più colpite durante la pandemia, quali l’alloggio e la ristorazione, e per i beni durevoli. Il tasso di risparmio è diminuito nuovamente, toccando i valori più bassi almeno dagli anni sessanta del secolo scorso. Vi hanno influito una minore propensione al risparmio delle famiglie più benestanti, plausibilmente temporanea, le difficoltà di risparmio delle famiglie con redditi più bassi e un allentamento del motivo precauzionale.
L’anno scorso la ricchezza netta delle famiglie, pari al valore delle attività finanziarie e reali al netto delle passività, è cresciuta in linea con il reddito disponibile. La ricchezza finanziaria lorda è aumentata, grazie al rialzo dei prezzi delle attività. Le famiglie hanno modificato la composizione del portafoglio finanziario, incrementando gli investimenti in titoli obbligazionari e riducendo i depositi a vista. Anche la ricchezza detenuta in attività reali è aumentata, nonostante il mercato immobiliare abbia continuato a indebolirsi, risentendo del progressivo aumento del costo dei finanziamenti.
Il rapporto fra debiti e reddito disponibile delle famiglie è diminuito e permane molto più basso rispetto ai maggiori paesi dell’area dell’euro. A fronte dell’espansione dei debiti per finalità di consumo, soprattutto quelli destinati all’acquisto di mezzi di trasporto, la crescita dei mutui si è fermata. Nonostante i più elevati tassi di interesse, i ritardi nel pagamento dei mutui a tasso variabile sono aumentati in misura limitata.
[6] L’anno scorso il valore aggiunto in Italia è aumentato, anche se in misura inferiore rispetto all’anno precedente. L’attività ha continuato a espandersi nel terziario, in particolare grazie all’ulteriore recupero nei comparti a elevata interazione sociale più penalizzati dalla pandemia, quali i servizi ricreativi e ricettivi. Nell’industria in senso stretto l’attività è invece diminuita, risentendo della debolezza della domanda internazionale (soprattutto di quella tedesca) e del perdurare degli effetti dei passati rincari energetici. La crescita è stata ancora molto sostenuta nel settore delle costruzioni, sospinta dagli incentivi pubblici.
Le imprese intervistate nell’ambito delle indagini condotte dalla Banca d’Italia prefigurano nel complesso un’espansione degli investimenti per il 2024, soprattutto per quelle di grande dimensione nel settore dei servizi.
La redditività ha continuato a crescere e sono rimasti ampi i margini di liquidità. L’indebitamento, in calo, resta contenuto nel confronto internazionale. I prestiti bancari si sono contratti sia per la minore domanda di finanziamenti sia per l’adozione di politiche di offerta più prudenti da parte degli intermediari. Le difficoltà di accesso al credito sono aumentate soprattutto per le imprese più piccole. Il processo di riequilibrio della struttura finanziaria delle aziende in corso da oltre un decennio potrebbe risentire dell’abolizione dell’Aiuto alla crescita economica (ACE), qualora non fosse sostituito da altri interventi a favore della patrimonializzazione.
La ricomposizione della struttura produttiva in atto verso aziende più grandi, cui ha contribuito anche una maggiore presenza delle multinazionali nel nostro paese, potrebbe favorire l’espansione del potenziale di crescita nel più lungo periodo, contrastando la debole dinamica della produttività che ha caratterizzato gli ultimi due decenni. Un ulteriore stimolo potrebbe derivare dal progressivo rafforzamento della spesa in ricerca e sviluppo, ancora molto contenuta in rapporto al PIL nel confronto internazionale.
Nonostante i diffusi miglioramenti del livello di digitalizzazione delle imprese e della capacità installata di energia da fonti rinnovabili, l’Italia, al pari di altri paesi, risulta ancora distante dai relativi obiettivi stabiliti in sede europea. L’avvio del piano REPowerEU potrebbe fornire un impulso alla rimozione degli ostacoli amministrativi e infrastrutturali allo sviluppo delle fonti rinnovabili.
[7] Nel 2023 l’occupazione ha continuato a espandersi in modo sostenuto. La domanda è stata favorita dalla moderata dinamica salariale, che ha reso il lavoro relativamente più conveniente rispetto ad altri fattori di produzione, interessati da forti rincari nel biennio 2021-22.
L’aumento del numero di occupati, più intenso nelle regioni meridionali, ha coinvolto la maggioranza dei comparti. I contributi principali alla crescita sono venuti dall’industria in senso stretto e dal terziario; l’occupazione nelle costruzioni ha rallentato, dopo la forte espansione degli scorsi anni.
Tra i lavoratori dipendenti, l’aumento ha riguardato le sole posizioni a tempo indeterminato; è inoltre diminuita la quota di addetti impiegati a tempo parziale che preferirebbero lavorare a tempo pieno. Rispetto al periodo precedente la pandemia, la crescita dell’occupazione non si è tradotta in un miglioramento della sua composizione, che resta sbilanciata verso le professioni meno qualificate; nei prossimi anni l’adozione di tecnologie basate su sistemi di intelligenza artificiale potrebbe influenzare la domanda di lavoro, soprattutto per le posizioni che richiedono maggiori competenze cognitive. Il numero di posti vacanti nelle imprese rispetto al totale delle persone in cerca di un impiego – un indicatore del livello di competizione per il reclutamento dei lavoratori – è rimasto elevato.
Grazie alla marcata crescita dei tassi di partecipazione, alla fine del 2023 le forze di lavoro hanno raggiunto livelli di poco superiori a quelli del 2019, benché nello stesso periodo la popolazione tra 15 e 64 anni sia calata di circa 600.000 unità. All’aumento dell’offerta di lavoro hanno contribuito sia il proseguimento della dinamica positiva dei tassi di attività nella fascia di età oltre i 50 anni, sia la recente ripresa fra i più giovani. Il tasso di disoccupazione si è nuovamente ridotto, portandosi su valori tra i più bassi degli ultimi vent’anni. Secondo le stime preliminari, nei primi mesi del 2024 l’occupazione ha rallentato, espandendosi in linea con il prodotto.
[8] Nel 2023 l’inflazione al consumo si è rapidamente ridotta rispetto ai livelli massimi toccati alla fine dell’anno precedente: è stata pari al 5,9 per cento in media annua ed è tornata sotto al 2 da ottobre. Per i prezzi dei beni energetici, che nel 2022 avevano contribuito per circa due terzi all’inflazione complessiva, si sono osservati cali significativi. L’inflazione di fondo (al netto delle componenti alimentari ed energetiche), in crescita nella prima parte dell’anno soprattutto per effetto dei passati rincari delle materie prime energetiche, è in seguito diminuita sensibilmente.
Lo scorso anno la crescita del costo orario del lavoro nel settore privato non agricolo si è rafforzata, pur mantenendosi inferiore a quella media dell’area dell’euro: le retribuzioni contrattuali hanno accelerato, mentre le altre componenti retributive hanno rallentato.
Con l’ulteriore flessione dei prezzi dell’energia, nei primi mesi del 2024 l’inflazione al consumo è scesa su livelli molto bassi; anche la componente di fondo è diminuita ulteriormente, su valori appena superiori al 2 per cento. Il progressivo venire meno delle pressioni legate ai prezzi delle materie prime e dei beni intermedi e la debolezza della domanda, riconducibile anche alla restrizione monetaria, manterrebbero l’inflazione su valori contenuti, nonostante si preveda che la dinamica delle retribuzioni contrattuali continui a intensificarsi.
[9] In un contesto di debolezza del commercio mondiale, nel 2023 le esportazioni italiane di beni in volume sono diminuite, restando tuttavia ben al di sopra del livello precedente la pandemia; quelle di servizi hanno invece continuato a salire, trainate dal turismo straniero in Italia e dai servizi alle imprese. Si sono ridotte le importazioni di beni, in particolare da paesi esterni all’Unione europea tra cui Russia e Cina, anche a causa della crescente frammentazione degli scambi internazionali; per contro sono aumentati gli acquisti di beni connessi con tecnologie a bassa impronta carbonica. Nel complesso le esportazioni nette hanno fornito un contributo lievemente positivo alla crescita dell’economia.
Il saldo di conto corrente è tornato in avanzo (0,5 per cento del PIL), soprattutto grazie al calo dei prezzi dei prodotti energetici importati. Al miglioramento del saldo mercantile e dei servizi si è contrapposto il deterioramento di quello dei redditi primari, su cui ha inciso il rialzo dei tassi di interesse.
Gli investimenti di portafoglio all’estero da parte dei residenti hanno rallentato; le famiglie hanno venduto quote di fondi comuni esteri per comprare titoli di Stato italiani e degli altri paesi dell’area dell’euro. Gli investitori non residenti sono tornati ad acquistare titoli italiani, sia pubblici sia privati. In seguito a questi andamenti e all’incremento della raccolta netta sull’estero delle banche residenti, il saldo debitorio della Banca d’Italia sul sistema dei pagamenti europeo TARGET è diminuito significativamente.
Alla fine del 2023 la posizione creditoria netta sull’estero dell’Italia ha raggiunto il 7,4 per cento del prodotto, grazie all’avanzo del saldo di conto corrente e conto capitale e soprattutto alla crescita dei corsi azionari mondiali e del prezzo dell’oro; il miglioramento rispetto al valore minimo toccato nel 2013 è stato di oltre 30 punti percentuali di PIL.
[10] Nel 2023 l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche è sceso al 7,4 per cento del prodotto (dall’8,6 dell’anno precedente), anche per effetto della riduzione delle misure di sostegno adottate per fronteggiare la crisi energetica. Il calo è stato però nettamente più contenuto di quanto programmato lo scorso autunno dal Governo a causa dei maggiori oneri per il Superbonus, che avrebbe inciso sul disavanzo del 2023 per quasi 4 punti di PIL. Gli investimenti fissi lordi sono aumentati di oltre un quarto, al 3,2 per cento del prodotto, il livello più alto dal 2009. Il rapporto tra il debito pubblico e il PIL, soprattutto grazie a un differenziale favorevole tra la crescita nominale dell’economia e l’onere medio, è sceso di 3,2 punti, al 137,3 per cento, un valore di poco superiore a quello precedente la pandemia.
Nel Documento di economia e finanza 2024 (DEF 2024) il Governo ha presentato il nuovo quadro tendenziale dei conti pubblici per il periodo 2024-27, ma ha rimandato la definizione degli obiettivi al primo Piano strutturale di bilancio a medio termine che, secondo la nuova governance europea, dovrà essere presentato entro il prossimo 20 settembre. Il forte ridimensionamento della spesa per il Superbonus e il venire meno delle misure espansive contro i rincari energetici contribuirebbero in modo determinante al deciso calo dell’indebitamento netto (al 4,3 per cento del PIL) atteso nell’anno in corso. La riduzione continuerebbe nel 2025 (anche per la cessazione degli sgravi contributivi in essere prevista dalla legislazione vigente) e nei due anni successivi, fino al 2,2 per cento nel 2027. Anche per il dispiegarsi degli effetti di cassa delle agevolazioni edilizie maturate negli anni precedenti, il rapporto tra il debito e il prodotto aumenterebbe invece fino al 139,8 per cento nel 2026, per poi diminuire leggermente (0,2 punti) l’anno successivo.
[11] Gli interventi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza hanno apportato miglioramenti al contesto istituzionale.
Nel 2023 la durata media e l’arretrato dei procedimenti giudiziari civili sono diminuiti e, in prospettiva, potrebbero ridursi ulteriormente con il pieno dispiegamento degli effetti delle misure organizzative e normative adottate nell’ambito del PNRR.
I finanziamenti del PNRR hanno anche trainato l’importo complessivo dei bandi per lavori pubblici, rimasto prossimo al valore molto elevato dell’anno precedente. Per i bandi legati al PNRR vi sono tuttavia ritardi nell’esecuzione dei lavori, soprattutto nel Mezzogiorno. I fondi del PNRR hanno contribuito ad accelerare il processo di digitalizzazione del settore pubblico.
In materia di regolamentazione dei mercati, nel 2023 sono state approvate alcune misure di portata settoriale, in coerenza con quanto previsto dal PNRR. Non vi sono stati altri provvedimenti legislativi di rilievo, sebbene permangano vincoli alla concorrenza che contribuiscono a mantenere più alti i margini di profitto nei servizi maggiormente regolamentati. Il disegno di legge previsto dal PNRR per l’anno corrente non è stato ancora presentato.
Rispetto al periodo precedente la pandemia, l’intervento diretto dello Stato nell’economia è aumentato. L’incidenza degli aiuti di Stato sul PIL è salita, pur rimanendo inferiore a quella dei principali paesi europei, anche a causa del minore spazio fiscale dell’Italia. È cresciuto il perimetro di analisi degli investimenti esteri per salvaguardare l’interesse pubblico in settori strategici, anche se i poteri di intervento da parte del Governo sono stati esercitati raramente. È lievemente aumentato il numero delle partecipate statali, mentre è proseguita la razionalizzazione di quelle locali.
Alcune disposizioni contenute nella legge per la competitività dei capitali, che intende favorire la quotazione in borsa delle società, potrebbero influire negativamente sulla governance delle imprese; entro luglio del 2024 dovrà essere recepita la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità.
[12] L’attività di credito ha continuato a risentire della prolungata fase di politica monetaria restrittiva. Nonostante il rallentamento dell’economia, la redditività delle banche è ulteriormente migliorata, soprattutto per la forte espansione del margine di interesse.
Nel 2023 i prestiti alla clientela si sono significativamente ridotti, soprattutto quelli alle imprese. Le condizioni di offerta praticate dalle banche sono divenute più restrittive per effetto di un aumento del rischio percepito e di una sua minore tolleranza. La domanda di mutui residenziali è scesa per l’elevato livello dei tassi. L’ammontare di titoli pubblici detenuti dagli intermediari creditizi si è ampliato, in seguito all’incremento di quelli emessi da paesi esteri.
Il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto a quelli in bonis è lievemente aumentato, ma nel complesso la qualità degli attivi detenuti dalle banche è rimasta pressoché invariata, anche grazie alle cessioni di quei crediti. L’incidenza di questi prestiti sul totale dei finanziamenti al netto delle rettifiche resta in linea con i valori medi dell’area dell’euro. La presenza di polizze assicurative stipulate dalle aziende contro i rischi operativi può contribuire a ridurre la rischiosità dei prestiti.
La raccolta complessiva è notevolmente diminuita per via del calo delle passività verso l’Eurosistema, solo in parte compensato da un accresciuto ricorso al mercato interbancario estero e alle emissioni di obbligazioni. I depositi di residenti sono scesi e si è registrata una ricomposizione dalle forme a vista a quelle a scadenza, che hanno rendimenti più alti. Ciò nonostante, il costo della raccolta è salito meno di un punto percentuale.
La crescita del margine di interesse è stata solo in minima parte contrastata dal leggero rialzo dei costi operativi, che hanno risentito soprattutto dell’incremento delle spese per il personale. La redditività dovrebbe mantenersi ampiamente positiva anche nell’anno in corso.
La patrimonializzazione è migliorata principalmente grazie agli utili non distribuiti, che hanno più che compensato l’impatto negativo di operazioni di riacquisto di azioni proprie (buy back) e gli effetti regolamentari del regime transitorio del principio contabile IFRS 9. La Banca d’Italia ha adottato misure macroprudenziali volte a rafforzare la solidità del sistema bancario, favorendone la capacità di finanziare l’economia anche in caso di eventi avversi.
Prosegue il processo di trasformazione digitale del settore finanziario italiano attraverso maggiori investimenti in tecnologie innovative. La diffusione dei canali digitali favorisce l’accesso ai servizi finanziari da parte delle famiglie, anche a fronte del calo del numero degli sportelli bancari.
L’accresciuta consapevolezza dei rischi climatici da parte degli intermediari si è riflessa nella definizione di obiettivi di decarbonizzazione che per la maggior parte delle banche riguardano le attività operative e il portafoglio prestiti.
Dopo la contrazione nel 2022 associata all’avvio del rialzo dei tassi di interesse, nel 2023 il patrimonio è tornato a salire per tutte le classi di investitori istituzionali italiani. La raccolta netta è stata positiva e in crescita per i fondi comuni e i fondi pensione, mentre ha continuato a diminuire per le assicurazioni, penalizzate dalla scarsa appetibilità dei prodotti di risparmio assicurativi nell’attuale fase di tassi elevati.
[13] Nel 2023 le condizioni dei mercati finanziari italiani sono state influenzate principalmente dall’orientamento della politica monetaria e dalle attese sull’andamento dei tassi ufficiali, in un contesto contraddistinto da incertezza sul quadro macroeconomico e da tensioni geopolitiche. Dall’autunno tali condizioni hanno risentito positivamente delle aspettative di un allentamento monetario determinato dalle minori pressioni inflazionistiche nell’area dell’euro e nelle altre principali economie avanzate, malgrado l’intensificarsi dei rischi connessi con i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente.
Nel complesso dell’anno il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani e il loro differenziale con quelli tedeschi sono diminuiti. Le condizioni di liquidità del mercato italiano sono migliorate. Le ingenti emissioni nette sono state assorbite in maniera ordinata, soprattutto grazie alla forte domanda da parte delle famiglie residenti, a sua volta sostenuta da emissioni rivolte alla clientela al dettaglio. È inoltre proseguito il collocamento di titoli destinati a finanziare progetti che mirano a sostenere la transizione ecologica.
Gli spread delle obbligazioni private si sono ridotti, favorendo il ricorso al mercato da parte delle società non finanziarie e delle banche. Le quotazioni azionarie sono cresciute in modo marcato, sebbene in misura diversa tra comparti; hanno beneficiato del miglioramento della fiducia degli investitori nell’ultima parte dell’anno, legato principalmente alla realizzazione di utili societari superiori alle attese.
Nei primi mesi del 2024 la domanda di titoli di Stato italiani si è mantenuta elevata e il differenziale di rendimento con i corrispondenti titoli tedeschi è ulteriormente sceso, nonostante il ridimensionamento delle aspettative di riduzione dei tassi di interesse ufficiali rispetto alla fine del 2023 e l’acuirsi delle tensioni geopolitiche. Il rialzo dell’indice azionario italiano è proseguito, sostenuto dal settore finanziario, ed è stato maggiore di quello dell’area dell’euro.
[14] La ripresa dell’attività dopo la pandemia e la successiva sequenza di shock sui mercati globali hanno alimentato un generalizzato e forte aumento dei prezzi dei beni e dei servizi nelle principali economie mondiali. Nell’area dell’euro, all’uscita dalla crisi sanitaria, il rapido recupero della domanda si è aggiunto alle strozzature nell’offerta, alimentando le pressioni sulle quotazioni dell’energia, delle materie prime e dei semiconduttori. A queste tendenze si sono associati l’eccezionale rincaro del gas, già in atto nel 2021 e accentuatosi drammaticamente in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nonché la notevole accelerazione dei prezzi dei prodotti alimentari. Nell’ottobre del 2022 l’inflazione al consumo nell’area aveva raggiunto il massimo dall’avvio dell’Unione economica e monetaria (10,6 per cento). Per impedire il disancoraggio delle aspettative di inflazione e mitigare i rischi di una spirale tra salari e prezzi, la politica monetaria ha risposto in modo deciso.
Dalla fine del 2022, con il ribasso dei prezzi dei beni energetici e il venire meno delle difficoltà di approvvigionamento, i costi degli input produttivi hanno iniziato a rallentare; ciò ha più che compensato l’effetto degli aumenti dei salari, che hanno riflesso con ritardo e solo in parte quelli dei prezzi. L’inflazione è scesa rapidamente nel corso del 2023; la riduzione è stata maggiore per i beni, a fronte di una più moderata decelerazione dei prezzi dei servizi, caratterizzati da voci con dinamiche fortemente eterogenee.
In Italia l’inflazione ha avuto un andamento simile a quello dell’area dell’euro; tuttavia, anche a causa di una più marcata dipendenza della nostra economia dal gas, ha raggiunto nel 2022 un picco più alto (12,6 per cento), per poi diminuire con maggiore velocità. La crescita salariale si è mantenuta particolarmente moderata; ciò ha favorito un incremento dell’occupazione superiore a quello osservato per gli altri input produttivi e per il PIL, con un conseguente calo della produttività media del lavoro.
L’elevata inflazione ha eroso significativamente il potere d’acquisto delle famiglie italiane, in modo particolare di quelle meno abbienti; gli effetti sulla disuguaglianza sono stati mitigati dal buon andamento dell’occupazione, oltre che dalle misure di sostegno introdotte dal Governo. L’inflazione ha ridotto il valore reale dei depositi e degli altri strumenti finanziari che a scadenza rimborsano un ammontare fisso, penalizzando le famiglie che detengono una quota maggiore della propria ricchezza in tali attività e favorendo quelle più indebitate.
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